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L’ipotesi percettiva

L’Ipotesi Percettiva corrisponde ad una selezione della informazione (o delle informazioni) più importante per risolvere un problema. Ad esempio, se abbiamo in tasca alcune chiavi e dobbiamo trovare quella che apre la porta di casa, le nostre dita cominceranno a muoversi, scartandone alcune, fino a quando non avremo riconosciuto quella che stiamo cercando o per via della sua specifica lunghezza o per la presenza di alcuni particolari intagli che la caratterizzano. I nostri movimenti vengono continuamente guidati da “supposizioni”, e le dita si soffermano maggiormente su determinati punti critici ritenuti maggiormente informativi piuttosto che altri, fino a quando il raggiungimento dello scopo finale dell’azione coinciderà con la conferma di una ben specifica “ipotesi percettiva”: è questa la chiave di casa! Da notare, il numero di movimenti necessari al riconoscimento si riduce gradualmente con il ripetersi del processo di palpazione, fino a quando impareremo a dirigere le nostre dita con sempre maggiore sicurezza su quegli elementi che facilitano l’identificazione dell’oggetto che stiamo cercando (Luria, 1975).

Uno dei capisaldi della Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione sostiene che il movimento è una modalità che abbiamo a disposizione per conoscere, e cioè per dare senso al mondo. Possiamo avere una conferma di questo principio anche semplicemente pensando a come, se mantenessimo la nostra mano immobile, potremmo cogliere solo alcune delle caratteristiche di un determinato oggetto (come la temperatura o la dimensione) senza tuttavia riuscire ad apprezzarne la forma complessiva. Per potere valutare in maniera completa il nostro oggetto abbiamo la necessità di raccogliere ulteriori informazioni rappresentate da quell’insieme di segni che lo distinguono da tutti gli altri: questo obiettivo può essere raggiunto grazie all’adozione di una strategia di “palpeggiamento attivo” dell’oggetto che prevede l’esecuzione di opportuni movimenti delle dita della mano.

Anche un semplice esempio come quello della ricerca della chiave di casa rivela che la distinzione tra ciò che è sensitivo e ciò che è motorio non facilita la comprensione della fisiologia dell’azione. Infatti, i nostri movimenti sarebbero alquanto maldestri se essi fossero unicamente il prodotto di una successione di segnali motori in uscita che, partendo dal Sistema Nervoso Centrale si dirigono verso la periferia rappresentata dai muscoli (Fig. 1).

 

Fig. 1. I nostri movimenti non possono essere il prodotto dei soli segnali (o "comandi motori") che dal Sistema Nervoso Centrale si dirigono verso i muscoli: in assenza di segnali (o "informazioni sensoriali") i nostri movimenti sarebbero incontrollabili

 

È stato infatti dimostrato che il nostro sistema muscolo-scheletrico sarebbe impossibile da controllare se non potessimo contare su un ampio corredo di segnali sensoriali di ritorno che ci permettono di monitorare i nostri movimenti ed, eventualmente, di correggerli in tempo reale (Bernštein, 1989).

Un’altra importante considerazione che possiamo trarre dal nostro esempio è che i movimenti non possono essere considerati come delle semplici risposte a stimoli esterni (Fig. 2).

 

Fig. 2. La concezione secondo la quale il movimento osservabile avrebbe rappresentato la risposta "riflessa" a stimoli esterni è tramontata: essa infatti non spiega l'influenza di fattori quali l'esperienza passata o le aspettative del soggetto nell'organizzazione dell'azione

 

È infatti evidente l’entrata in gioco di altri fattori, quali ad esempio la nostra esperienza passata: ma ciò che qui preme sottolineare, anche dal punto di vista della strutturazione dell’esercizio riabilitativo, è che l’azione nel suo complesso rimane sempre orientata al futuro, poiché viene costruita sulla base di un piano o di una intenzione finalizzata al conseguimento di uno specifico scopo (Luria, 1977).

Un fondamentale contributo ad una più compiuta comprensione della struttura complessiva dell’azione proviene dagli studi del neurofisiologo Anochin: l’area tratteggiata in rosso della prossima illustrazione ha lo scopo di mettere in evidenza gli aspetti previsionali che precedono ogni movimento diretto ad uno scopo (una recensione della più importante monografia di Anochin è presente su questo sito al collegamento:  http://www.laboratorioneurocognitivo.it/?p=1636)

Questo modello è di particolare interesse per il Riabilitatore poiché, oltre al movimento osservabile, prende in opportuna considerazione anche i processi neurali preparatori, di programmazione e previsionali ad esso soggiacenti. Ogni azione diretta ad uno scopo ha alla base una Motivazione dominante che attira la nostra Attenzione: di qui, la necessità biologica di portare a termine un “compito motorio”, che comporta la ricerca delle informazioni necessarie o Sintesi Afferente (SA). All’organizzazione di questi processi nel loro insieme contribuiscono numerose formazioni nervose quali, ad esempio, la nostra esperienza passata (la Memoria). È alla confluenza di questi processi sorge la “presa di decisione” (D) che conduce all’azione: essa sfocia nella contemporanea formulazione di un “programma d’azione” e di un “accettore dell’azione“, ovvero di un apparato di previsione dei risultati effettivamente: in caso di una loro concordanza, come nella Fig. 3, questo processo circolare si conclude (Anochin, 1975).

 

Fig. 3. Il modello proposto da Anochin prevede che la “presa di decisione” (D) dia origine a due processi paralleli: 1) un “programma d’azione” ed un apparato di previsione denominato “accettore dell’azione”

 

Per movimenti ben appresi ed automatizzati, come ad esempio il cammino, non siamo consapevoli della complessità di questi processi: passeggiamo tranquillamente per strada immersi nei nostri pensieri, e tuttavia, siamo in grado di accorgerci immediatamente della presenza di un “errore”, segno evidente che l’insieme delle informazioni sensoriali che il nostro movimento dovrebbe produrre vengono specificate in anticipo e cioè, che avevamo fatto un’ipotesi percettiva (Fig. 4).

 

Fig. 4. L'ipotesi percettiva funge da "modello interno anticipato" dell'azione, e ci permette di rilevare eventuali "errori", sotto forma di sensazioni anomale ed inattese

 

Allo stesso modo se, infilando il braccio nel nostro disordinato frigorifero per afferrare una bottiglia d’acqua e, distratti, afferrassimo invece un altro contenitore, tutti sappiamo, per esperienza personale, che correggeremmo immediatamente una imprecisione simile: indirizzeremmo la nostra Attenzione verso la raccolta di ulteriori informazioni utili al raggiungimento del risultato utile finale e riformuleremmo il programma d’azione ed il conseguente accettore d’azione relativo (Fig. 5).

 

 

Fig. 5. La discordanza tra quanto previsto e quanto effettivamente ottenuto attira la nostra Attenzione e il processo ricomincerà con una nuova Sintesi Afferente

L’ipotesi percettiva funge dunque da sistema di controllo e di analisi tra la corrispondenza tra le informazioni attese e quelle ottenute con il movimento reale: in questo modo, Anochin si era in questo modo avvicinato al concetto equivalente a quello che oggi chiameremmo “modello interno” dell’azione.

In ambito riabilitativo, il concetto di “ipotesi percettiva” trova una collocazione fondamentale all’interno della Teoria Neurocognitiva, ed assume un ruolo di strumento indispensabile dell’esercizio. Ricordando che ogni esercizio rappresenta un “problema conoscitivo“, prendiamo ad esempio un esercizio di riconoscimento di differenti sagome a forma di “T” con l’arto superiore (Fig. 6).

 

Fig. 6. In questo esercizio il malato deve formulare una ipotesi percettiva adeguata al compito proposto: ad esempio, dovrà selezionare determinate informazioni utili alla risoluzione del compito, prestando attenzione alla lunghezza dei lati delle differenti sagome a forma di "T" per riconoscere quella che gli viene fatta percepire dal Terapista

 

Innanzitutto, il Terapista ha la possibilità di scegliere esercizi che privilegiano un determinato ambito informativo, in questo caso tattile-cinestesico: il malato dovrà scegliere, stare attento, prevedere ed elaborare le informazioni derivanti dall’interazione con la sagoma al fine di riconoscere quella che gli viene proposta.

Per la risoluzione del compito, il malato dovrà privilegiare determinate informazioni rispetto ad altre, che siano utili alla formulazione di un’adeguata ipotesi percettiva (in questo esempio, la lunghezza di alcuni lati delle sagome). La scelta dell’ipotesi percettiva (tattile, cinestesica, pressoria, ecc.) dipenderà dallo scopo dell’esercizio e cioè dall’elemento della patologia che si intende superare: in questo caso di Emiplegia, la richiesta di mantenere rilassata la muscolatura dei muscoli flessori del polso e dei muscoli flessori lunghi delle dita mentre il Terapista imprime il movimento al braccio del malato è finalizzata all’organizzazione di processi neurali di controllo sulla Reazione Abnorme allo Stiramento.

Il confronto tra le informazioni programmate (ipotesi percettiva) e quelle in arrivo ottenute mediante il movimento è una caratteristica della neurofisiologia del movimento evoluto. La Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione propone dunque che l’esercizio debba rappresentare una particolare situazione problematica in cui il malato sia messo nella condizione di progettare precise prese di informazioni in rapporto al compito da eseguire: ogni atto terapeutico non può infatti prescindere dalla conoscenza dei risultati da parte del malato e dal confronto con quanto previsto precedentemente (Perfetti, 1981).

 

BIBLIOGRAFIA

Anochin PK. Biologia e neurofisiologia del riflesso condizionato. Roma: Bulzoni Ed.; 1975

Bernštein NA. Fisiologia del movimento. Roma: S.S.S. Ed.; 1989

Luria AR. Corso di psicologia generale (ed. orig. 1975). Roma: Ed. Riuniti; 1999

Luria AR. Come lavora il cervello. Bologna: Il Mulino Ed.; 1975

Perfetti C. La rieducazione motoria dell’emiplegico. Milano: Ghedini Ed. 1981

 

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