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Sacks O. – Musicofilia- Racconti sulla musica e il cervello

Se si ha la fortuna di avere qualche giorno di ferie a fine anno, molti di noi approfittano di questo tempo libero a disposizione e vanno per librerie, ancora come un tempo, passeggiando tranquillamente per le vie cittadine, senza l’ansia delle lancette dell’orologio che ci perseguitano scandendo anche i secondi di questa vita frenetica. Il gusto di trascorrere del tempo in una libreria è tramontato anche con gli ordini frettolosi attraverso internet, asettici e impersonali, di cui anch’io spesso mi avvalgo.

 Quest’anno ho preferito prendermi un attimo di respiro, entrare nelle librerie, godermi i libri e gli astanti, e giocare anche a capire che libro visionano (i romanzi d’ogni genere, ma in particolare i gialli, sono puntualmente aperti alle ultime pagine … (“Chi è il colpevole?” … “Che fine farà il protagonista?”). I libri scientifici o i saggi in generale sono sempre aperti sulle pagine dell’Indice (“Di cosa parla?”, “Come si sviluppano i Capitoli?”, “Ci trovo quell’argomento che tanto mi interessa?) Altre volte ci ritroviamo, come sospinti da nostalgici ricordi, nel reparto dei libri per bambini e ci trascorriamo un pomeriggio intero fingendo di analizzare razionalmente da adulti la grafica, lo scritto, le immagini appropriate o meno, la presenza della tridimensionalità o dei CD allegati ecc. … (mentre in realtà ci stiamo rigodendo attimi di sana infanzia … e così sia!!!). Vi ritrovate in questi frequentatori di librerie? Allora seguitemi e continuate a leggermi perché oggi vi voglio parlare di un libro che ho acquistato nel mio girovagare. Ricordo che mentre lo sfogliavo già pregustavo il momento in cui mi sarei seduta nella mia poltrona preferita, davanti al fuoco acceso del camino e il mondo fuori.

Oliver Sacks è un autore che ho già apprezzato attraverso altri testi di neuro storie che mi hanno interessato come riabilitatrice neurocognitiva. Il suo genere di letteratura, che si potrebbe definire un sapiente mix tra saggio scientifico e narrazione di storie, è sempre molto avvincente perché i riferimenti bibliografici sono innumerevoli e svelano importanti possibilità di approfondimento, in particolare per operatori sanitari che quotidianamente lavorano a contatto con la sofferenza e la malattia, e spesso con “strane” malattie. La lettura di questo saggio, naturalmente, è ugualmente godibile anche per i non addetti ai lavori che sapranno analizzare e riflettere sugli argomenti trattati partendo da punti di vista differenti dai sanitari, come è giusto che sia.

Pensavo, comunque, di suggerire una mia strategia di lettura a tutti coloro che lavorano come sanitari Solitamente, visionando l’indice, soprattutto se il libro è corposo come questo che è di 483 pp., cerco subito di individuare quel capitolo, e quel paragrafo, che potrebbero incuriosirmi perché posso aver incontrato casi simili nella mia attività e poi di conseguenza costruisco la lettura dell’intero libro partendo da quel brano. Questa strategia nasce sicuramente dalla deformazione professionale, ma la curiosità primordiale verso le poche pagine che trattano un argomento che mi tocca nel “qui” e “ora”, mi ha poi sempre dato modo di terminare con entusiasmo anche tomi a volte scoraggianti per la loro lunghezza. Per tutti gli altri lettori, invece, consiglio una lettura partendo dall’inizio. Il libro, infatti, pur essendo prolisso, è molto ben strutturato. Il testo, infatti, è diviso in quattro parti; ogni parte ha da sei a otto paragrafi, ognuno dei quali di una lunghezza più che accettabile che dà modo al lettore di prendersi delle pause riflessive ed interpretative, annotare appunti propri, o di ricercare già la bibliografia citata a piè di pagina, per documentarsi maggiormente e capire subito meglio sia il contesto letterario che quello neuro scientifico.

Il filo conduttore di tutto il libro, come si evince anche dal titolo, è la musica, che sarà protagonista incontrastata in mille modi differenti, attraverso i quali aprirà al lettore uno scenario avvincente di conoscenze che spaziano tra eventi straordinari che succedono nella vita, ma non necessariamente da leggersi attraverso un dizionario patologico, e patologie invece che ci parlano, nel loro mostrarsi, di movimento alterato, immagini mentali, memoria e amnesia, allucinazioni e sogni, dove la musica è studiata come causa scatenante o anche come aspettativa di cura.

PARTE PRIMA. Tormentati dalla musica

In questa prima parte vengono descritti casi molto interessanti che vanno da una storia che ci regala un apertissimo terreno interpretativo come quella di un medico che dopo essere stato colpito da un fulmine diventa un musicofilo quasi ossessivo da analfabeta musicale pressoché completo qual’era prima, a storie più complicate ed emotivamente molto più drammatiche come quelle dove i pazienti scatenano vere e proprie crisi epilettiche se sentono determinate sinfonie, ai pazienti che vivono costantemente con allucinazioni musicali e ci propongono quindi  una visione molto diversa da quella che normalmente deputiamo all’ascolto della musica o al suo apprezzamento che esprimiamo anche nel pensare mentalmente a brani musicali. Inoltre quei motivetti che siamo abituati a chiamare “i tormentoni”, che entrano nella nostra mente e sembrano non abbandonarci mai, in molte persone diventano così invasivi nel loro pensiero da non permettergli più di condurre una vita normale. Per i riabilitatori neurocognitivi risulta molto interessante anche ciò che viene descritto riguardo alle immagini mentali musicali. Ad esempio, studi effettuati da Zatorre e Halpern, 2005, hanno evidenziato come immaginare musica possa attivare la corteccia uditiva con un’ intensità quasi identica a quella che viene indotta dall’ascolto reale. Gli studiosi hanno visto che immaginare la musica stimola anche la corteccia motoria e immaginare l’atto di suonare stimola la corteccia uditiva. Questi studi accreditano ancora di più quel fenomeno dell’Immagine mentale motoria che conosciamo e utilizziamo anche come strumento terapeutico per facilitare il riapprendimento delle funzioni lese. Ad esempio, nel libro a cura di Isabelle Peretz e Robert Zatorre intitolato “The Cognitive Neuroscience of Music”, lo studioso Pascual –Leone ha chiarito come gli studi sul flusso ematico cerebrale regionale indichino che “la simulazione mentale dei movimenti attiva alcune delle stesse strutture neurali centrali necessarie all’effettiva esecuzione dei movimenti. Così facendo, l’esercizio mentale sembra sufficiente da solo a promuovere la modulazione dei circuiti neurali implicati nei primi stadi dell’apprendimento di un’abilità motoria. Tale modulazione non soltanto dà luogo a un netto miglioramento nell’esecuzione, ma sembra anche favorire, nel soggetto, l’apprendimento di ulteriori abilità con un esercizio fisico minimo. La combinazione di esercizio mentale e di esercizio fisico porta ad un miglioramento dell’esecuzione più marcato di quello che si otterrebbe solo con il secondo”.

PARTE SECONDA. Le dimensioni della musicalità

Nella seconda parte l’autore affronta, come sempre con innumerevoli casi raccontati attraverso i vissuti esperienziali delle persone, aspetti legati alla capacità o meno della comprensione della musica, andando dai casi di orecchio assoluto a quelli, veramente incredibili, di amusia cocleare; tra i due estremi vengono presentati anche particolarità interessanti che variano molto tra loro. Esempio emblematico è il caso di un paziente (Martin) nato con problemi di vista gravissimi e che all’età di tre anni contrasse una meningite che gli causò crisi epilettiche e gravi problemi cognitivi e motori. Sacks lo conobbe in età adulta come “savant musicale”,  conoscitore di più di duemila opere di cui aveva imparato, ascoltando le esecuzioni, la parte di ogni strumento e di ogni voce. Un altro caso molto interessante è quello di un medico norvegese (Jorgen Jorgensen) che in seguito alla rimozione di un neurinoma al nervo acustico ha perso completamente l’udito all’orecchio destro e questo gli comportò non tanto il cambiamento nella percezione delle qualità specifiche della musica, come l’altezza e il timbro dei suoni, ma piuttosto, ad essere compromessa era la ricezione emotiva della musica che risultava stranamente piatta e bidimensionale. Questa drammatica esperienza viene analizzata in una maniera molto propositiva per tutti coloro che a vario titolo si occupano di Ri-abilitare. Sacks sostiene, infatti, che la percezione, non ha mai luogo esclusivamente nel presente, ma deve attingere dall’esperienza del passato, e cita quell’esperienza che Edelman riconosce come il “presente ricordato” (Edelman G. “Il presente ricordato”, Rizzoli Ed., 1998).

Citando ancora Edelman “ogni atto di percezione è in una certa misura un atto di creazione, e ogni atto di memoria è in una certa misura un atto di immaginazione”. “In questo modo vengono chiamate in causa”, scrive Sacks, “l’esperienza e le conoscenze del cervello, come pure la sua adattabilità e la sua elasticità”. Come riabilitatrice neurocognitiva oserei proprio parlare di plasticità cerebrale, questo potente mezzo che il nostro cervello ha a disposizione per riorganizzare le funzioni. Il medico norvegese è un esempio notevole “di come pur non essendo in alcun modo possibile un ripristino della funzionalità nella normale accezione del termine, quella funzione sia stata tuttavia significativamente ricostruita, al punto che oggi egli ha ancora accesso a gran parte di quanto sembrava irrimediabilmente perduto. Sebbene siano occorsi alcuni mesi, a dispetto di ogni previsione il medico è riuscito in gran parte a recuperare quello che per lui era più importante: la ricchezza, la risonanza e il potere emozionale della musica”. Questa riorganizzazione molto particolare e delicata come quella della sensibilità uditiva, peraltro disorganizzata dalla lesione dell’organo “periferico”, non deve esimerci dal porci domande e cercare delle possibili risposte di quanto sia fondamentale la plasticità neuronale anche dopo cerebrolesioni, di quali aspetti con una adeguata ri-abilitazione neurocognitiva possano essere riorganizzati, domandarci il significato della diaschisi o della ricomparsa di determinate funzioni per effetto della deinibizione, e pensare che anche la plasticità non deve essere analizzata solo come un evento positivo, ma anche potenzialmente negativo se non ben guidata da esercitazioni che esaltino solo l’emergenza della riorganizzazione “buona”.

PARTE TERZA. Memoria, movimento e musica

Questa terza parte è quella che può, a vario titolo, interessare ancora di più i riabilitatori. Sono riportati infatti, casi molto significativi in cui si può ipotizzare come la musica possa diventare uno strumento terapeutico non indifferente quando, ad esempio, si è portati ad arrendersi rispetto all’immodificabilità dell’esito lesionale: si possono citare ad esempio i casi di afasia espressiva immodificabili da anni di terapia logopedica, che poi attraverso la musicoterapia a volte ritrovano almeno il piacere di riuscire a comunicare attraverso l’uso di una parola cantata, che non si potrà considerare una comunicazione proposizionale, ma sicuramente sarà in grado di esprimere una comunicazione esistenziale, emozionale, fondamentale e significativa per permettere a questi malati di sentirsi vivi.

Un altro esempio è quello di pazienti parkinsoniani che attraverso l’ascolto di certe melodie spesso vivono l’emozione di superare gli episodi di “blocco improvviso” (o freezing) anche solo per quel momento speciale della durata di un ballo (Hackney et al., 2007): certo, rispetto ad una riorganizzazione post-lesionale, che auspica un recupero delle funzioni per interagire con il mondo in molti contesti differenti ,siamo comunque perdenti, ma a volte ci vogliono anche questi vissuti quando la sofferenza della malattia sembra superare ogni conoscenza scientifica. Curiosa è anche la storia di un pianista viennese che aveva perso il braccio destro nella prima guerra mondiale e a distanza di anni, ogni volta che doveva mettere a punto una diteggiatura di una nuova composizione, il suo moncherino si agitava come se tutto il braccio, dita comprese, prendesse parte attivamente al processo. Questo caso apre tutto lo sterminato e interessantissimo campo dell’arto fantasma che nel caso del pianista ha avuto uno sviluppo positivo ma, purtroppo molto spesso gli arti fantasma possono essere molto fastidiosi o addirittura molto dolorosi e questa condizione, si capisce bene come diventi subito di interesse riabilitativo (Hamzei et al., 2001). Un altro aspetto affrontato è stato quello della distonia focale dei musicisti, problematica che il solo nome tende a terrorizzare i professionisti della musica. Sacks mette in evidenza come questa disfunzione neurale sia molto più frequente di quanto non si dica e spesso oltre a non venire diagnosticata se non dopo anni di peregrinare del musicista, ancora oggi non ci siano delle prospettive terapeutiche così definitive e risolutive. È un campo che mi ha appassionato molto e ritengo che la riabilitazione neurocognitiva possa dare il suo contributo cercando di interpretare le manifestazioni di questa patologia in chiave riabilitativa (Candia et al., 2003).

PARTE QUARTA. Nella veglia e nel sonno. Sogni musicali

Interessante questa quarta parte in cui si evidenziano situazioni variamente incredibili come quelle che sembrano confermare che la musica dei sogni è uguale a quella dello stato di veglia. Queste conclusioni a cui arriva Irving J. Massey nel 2006 sembrerebbero inoltre confermate non solo dalle caratteristiche permanenti di accuratezza e di qualità della memoria musicale nelle allucinazioni musicali, nei tarli e nell’immaginazione, ma come queste caratteristiche sembrino permanere nonostante la nostra mente possa essere devastata da amnesia e da demenza, dalle psicosi o dai parkinsonismi.

Sono interessanti anche gli studi che hanno messo in evidenza come in sindromi postcommotive, o in esiti di coma, si possono verificare casi che risultano completamente indifferenti al valore emotivo della musica (Griffiths et al., 2004). Per i riabilitatori può essere un dato curioso: quante volte, infatti, ci si accanisce con un sovraccarico di stimoli di ogni tipo, spesso anche musicali, sperando di indurre un ricordo emotivo … da sfruttare come processo di recupero. L’indifferenza al potere emozionale della musica può essere presente anche negli individui con sindrome di Asperger: un esempio tra tutti è la scienziata autistica Temple Grandin che Sacks ha descritto in un altro libro. Nella scienziata, in realtà, l’autore riferisce che si poteva evidenziare anche un certo appiattimento generale dell’emozione (Sacks O., ”Un antropologo su Marte“, Adelphi Ed., 1998).

Interessante, inoltre, come la musica sia vista come strumento per uscire da stati di anedonia, che esprimono un’insensibilità completa sia al piacere che alla tristezza. A volte, infatti, la musica riesce ad abbattere tutte le resistenze emotive e permette il fluire dei sentimenti, sia di gioia che di dolore, permettendo spesso un ritorno alla vita.

Sacks presenta in questo variegato e poliedrico testo moltissimi altri casi e situazioni che vi consiglio a questo punto di apprendere attraverso la sua lettura, che per me è stata appassionante e, nel contempo, rilassante. Buona lettura!!!

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One Response to Sacks O. – Musicofilia- Racconti sulla musica e il cervello

  1. dora bandel on 6 maggio 2013 at 19:13

    grazie della recensione, lo comprerò per leggerlo con calma…

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