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L’Artrosi-processi patodinamici

17 maggio 2012
By , in L'Artrosi

Ogni articolazione è un complesso “micro-sistema” che interagisce con un sistema più grande, che è il corpo umano. All’interno delle articolazioni sane è presente un equilibrio che permette il fisiologico scambio di informazioni tra il cervello, il resto del corpo, e il mondo esterno: grazie a questi meccanismi possiamo muoverci in modo armonioso, frammentando, adattando e il nostro corpo in funzione delle varie situazioni che ci si presentano nella vita quotidiana.

Una lesione, un trauma, o una patologia degenerativa (artrosi), può compromettere l’equilibrio interno di una articolazione, alterando sia il micro-sistema (l’articolazione) sia le normali relazioni che esso contrae con il macro-sistema (il corpo). Di conseguenza, il movimento diverrà meno frammentabile, meno adattabile, meno variabile e, in alcuni casi, può essere necessaria la sostituzione dell’articolazione colpita con una protesi. Di seguito analizzeremo per sommi capi quale sia la struttura complessiva di una articolazione, prendendo in considerazione i rapporti reciproci tra alcuni importanti elementi di di questa delicata struttura al fine di comprendere i rapporti che essa contrae con il resto del corpo: una simile premessa porrà le basi per la costruzione dell’intervento riabilitativo conseguente.

Il ruolo della pressione articolare

Le articolazioni sono strutture anatomiche complesse che mettono in reciproco contatto due o più ossa: nel nostro corpo sono presenti diversi tipi di articolazioni, che permettono la realizzazione di movimenti differenti. La maggior parte di esse sono costituite da ossa, tessuto cartilagineo, capsula articolare, cavità articolare, membrana sinoviale, sinovia e legamenti intrinseci. Come anticipato in precedenza, ciascuna di queste strutture si relaziona con le altre per contribuire al mantenimento di una condizione di equilibrio (o meglio, di “omeostasi”) al suo interno, favorendo in questo modo anche il fisiologico ricambio delle sostanze nutritive e l’eliminazione di quelle di scarto: inoltre, questi elementi si relazionano con il resto del corpo umano per il tramite di terminazioni nervose, permettendo così un preciso controllo di raffinati movimenti. La lesioni di uno o più di uno degli elementi che compongono l’articolazione avrà l’effetto di creare la condizione per una alterazione di questo equilibrio (De Giovannini, Grotto, Filippi, Macchi, 1996).

Come in tutte le cavità chiuse, anche all’interno delle articolazioni è presente una pressione che è possibile misurare: in condizioni normali, tale pressione intrarticolare risulta inferiore alla pressione atmosferica, e proprio questa condizione garantisce alla cartilagine, che è priva di vasi sanguigni, un adeguato ricambio di sostanze nutritive che avviene per osmosi (vedi Fig. 1).

La pressione intrarticolare è determinata dal rapporto tra il liquido presente entro l’articolazione e il grado di tensione delle strutture che la delimitano. L’aumento della quantità di liquido, la riduzione del volume complessivo della cavità articolare, o l’incremento della tensione dei tessuti che circondano l’articolazione sono meccanismi di frequente riscontro nella patologia articolare degenerativa e, nell’insieme, essi determinano un innalzamento della pressione intrarticolare, con conseguente stimolazione delle terminazioni nervose presenti all’interno dell’articolazione e comparsa di dolore.

Ma cosa può innescare simili fenomeni? Un aumento di volume del liquido normalmente presente entro una articolazione è possibile, ad esempio, in seguito a un trauma o ad una infiammazione che determini tumefazione o gonfiore; le alterazioni della rima articolare e della cartilagine causate dall’artrosi possono comportare una riduzione  della cavità articolare; inoltre, la sclerotizzazione con perdita di elasticità della capsula articolare e dei tessuti che circondano l’articolazione possono contribuire all’aumento della pressione intrarticolare.
Un aumento della pressione intrarticolare protratto nel tempo favorisce la ricerca di una naturale posizione di riposo dell’articolazione colpita, che sarà quella in cui la capsula ed i legamenti sono maggiormente allungati e detesi, così da favorire la diminuzione della pressione con conseguente riduzione del dolore. La cronicità di questa condizione, ed il mantenimento di queste posizioni per lungo tempo favorirà l’instaurarsi di contratture a livello di determinati distretti muscolari e, come vedremo nel prossimo paragrafo, l’indebolimento e l’inibizione di altri distretti muscolari (Geborek, Moritz, Wollheim, 1989).

Rapporti tra inibizione muscolare artrogena e debolezza muscolare 

Classicamente si giustifica la debolezza muscolare che interessa una articolazione colpita da malattia traumatica o degenerativa con il “non uso” dell’arto. Tuttavia, occorre osservare che anche un incremento della pressione intrarticolare determina una immediata riduzione della capacità di reclutamento di un determinati gruppi muscolari. Alcune ricerche hanno dimostrato che l’iniezione di soluzione fisiologica all’interno di un ginocchio sano determina una immediata riduzione della forza dei muscoli estensori, che non può essere giustificato come il prodotto del “non uso” dell’arto che, eventualmente, insorgerebbe molto più lentamente nel tempo (Stokes, Young 1984). Questo fenomeno viene chiamato “inibizione muscolare artrogena”, ed è stato spiegato da diversi ricercatori come il risultato di meccanismi neurali complessi. Nelle articolazioni sono infatti presenti recettori (meccanocettori di Tipo I e II)  che proiettano verso i motoneuroni che innervano i muscoli: l’aumento della pressione intrarticolare e la comparsa del dolore determina una inibizione di questi motoneuroni producendo l’effetto, pressoché immediato, di ridurre la capacità di attivare la muscolatura interessata (Jensen, Graf, 1993).

Secondo altri autori questo stato inibitorio dei motoneuroni della muscolatura estensoria può essere interpretato come una sorta di “messa a riposo” dell’articolazione ad opera del Sistema Nervoso Centrale per effetto di meccanismi autoregolativi intrinseci non molto dissimili dalla diaschisi, fenomeno forse più noto, che ha luogo in seguito nelle lesioni centrali.
Più in generale, i nocicettori ed altri recettori intraarticolari e periarticolari possono dunque avere azioni eccitatorie ed inibitorie sulla muscolatura, favorendo così la posizione di minore tensione articolare che riduce il dolore. Nel ginocchio, ad esempio, questo fenomeno si manifesta attraverso la “debolezza muscolare” derivante dall’inibizione dei muscoli estensori, che si accompagna alla contrattura dei muscoli flessori dell’articolazione colpita. (Young, Stokes, Iles, 1987).

Riassumendo, l’inibizione muscolare artrogena degli estensori e la contrattura antalgica dei flessori fanno assumere  all’articolazione una caratteristica posizione grazie alla quale la capsula articolare si detende e il volume della cavità intrarticolare aumenta: questo atteggiamento corrisponde ad una posizione “di riposo” in cui la pressione intrarticolare è minima, ed è di circa 30° in flessione per l’anca, tra i 30 e i 45° in flessione per il ginocchio e di 15° in flessione plantare per la caviglia. Anche la semplice osservazione del malato spesso permette di evidenziare come queste posizioni, che si instaurano in maniera subdola, spesso permangono a lungo anche dopo un intervento chirurgico di sostituzione dell’articolazione, come nel caso dell’intervento di artroprotesi: la contrattura antalgica rappresenta dunque un elemento della patologia che può condizionare pesantemente il recupero di un movimento più raffinato se diventa una componente strutturata dell’agire del paziente.

Questi aspetti sono particolarmente importanti per il riabilitatore anche ai fini strettamente operativi della organizzazione delle condotte terapeutiche: l’inibizione muscolare artrogena contribuisce a determinare ipotrofia e debolezza dei gruppi muscolari colpiti, e il suo permanere nel tempo costituisce un ostacolo ai tentativi del riabilitatore di ottenere aumenti della forza dei gruppi muscolari colpiti attraverso quei metodi di rinforzo “diretto” che possono essere proposti nel soggetto sano (Hurley, Newham, 1993).

L’articolazione è un “organo di senso”

La Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione prende come modello per l’Azione lo schema dell’Atto Comportamentale di Anochin: in questa concezione, ogni movimento diretto ad uno scopo può essere definito come la proprietà risultante che emerge dalle relazioni tra le varie parti del sistema motorio. Azioni complesse e raffinate come camminare o afferrare una tazzina di caffè con la mano, non sono solamente il prodotto di un rapporto unidirezionale di “comandi centrali” che partono dal cervello e raggiungono la “periferia” rappresentata dai muscoli. Al contrario, ogni movimento è il risultato del rapporto bidirezionale e della continua modulazione tra Sistema Nervoso Centrale e le informazioni “in entrata” che provengono dal resto del corpo: le afferenze che provengono dai muscoli, dai legamenti e dalle articolazioni contribuiscono ad uno scambio ininterrotto di informazioni relative alla posizione, alla velocità o all’accelerazione dell’organo in movimento sulla base delle quali il Sistema Nervoso Centrale apporta continue ed opportune correzioni che permettono all’organismo di adattarsi con plasticità ai mutamenti delle condizioni periferiche (Bernštein, 1989).

La deambulazione è una funzione che, per esprimere la sua adattabilità al variare delle caratteristiche ambientali, necessita di un campo informativo appropriato: non è infatti possibile spiegare un fenomeno straordinariamente complesso come il cammino adottando una prospettiva puramente meccanicistica. Durante il cammino, la modulazione neuromuscolare che dipende dalle informazioni provenienti dalla periferia è fondamentale per proteggere le articolazioni dell’arto inferiore dai microtraumi ripetuti che favoriscono l’insorgenza delle patologie degenerative come l’artrosi (Sharma, Pai, 1997).

Durante la deambulazione, infatti, il Centro di Massa (che corrisponde grossolanamente al nostro ombelico) si alza di qualche centimetro nella fase di appoggio monopodalico, mentre si abbassa quando entrambi gli arti si appoggiano al terreno: questo significa che ad ogni fase di approccio di tallone al suolo si determina una forza di reazione che produce energia cinetica potenzialmente lesiva per le articolazioni, che in condizioni fisiologiche, viene per la maggior parte assorbita e smorzata dalle strutture scheletriche. Potete avere due esempi di questo concetto facendo partire i due filmati che seguono, ed osservando gli spostamenti verticali del bacino all’altezza della cintura sia nel soggetto maschile che in quello femminile: in questo sarete facilitati dalla griglia quadrettata sovrimposta.

(I diritti di questo filmato sono riservati)

(I diritti di questo filmato sono riservati)

Una ipotesi recentemente avanzata sostiene che gli anziani e gli artrosici sono meno abili ad effettuare le precise regolazioni dell’arto inferiore che permettono alla muscolatura di smorzare le forze che agiscono sulle articolazioni durante la deambulazione: ciò sarebbe dovuto a causa di un danno primario consistente in un declino del senso di posizione articolare e della propriocezione che dunque potrebbe addirittura precedere, e non essere la conseguenza, dell’insorgenza della patologia articolare degenerativa che colpisce gli arti inferiori (Vigezzi, Ferri, 1998 per una review).

Oggi viene dunque sempre più riconosciuto il ruolo del deficit informativo nella alterazione del pattern motorio che vede nei microtraumatismi ripetuti uno dei co-fattori delle modificazioni tessutali patologiche che affliggono le articolazioni dell’arto inferiore: per questo motivo possiamo concepire l’articolazione non solamente come un organo dotato di proprietà meccaniche, ma anche come elemento che rappresenta un vero e proprio sottosistema informativo (”organo di senso”).

Questi studi suggeriscono che le informazioni articolari sono direttamente implicate nella regolazione del tono muscolare in situazioni dinamiche attraverso il controllo riflesso del sistema gamma-muscolo-fusoriale, meccanismo fondamentale nella regolazione continua e nella preprogrammazione della stiffness muscolare (Johansson, 1991).
Le implicazioni per la pianificazione per la progettazione dell’intervento riabilitativo nel paziente operato di artroprotesi in seguito a patologia articolare degenerativa sono rilevanti. Se, infatti, la diminuzione delle capacità propriocettive precede e, verosimilmente, ha un ruolo nella comparsa della degenerazione articolare, e allora lecito aspettarsi che questo deficit permanga anche dopo l’intervento chirurgico, o che addirittura peggiori a causa della rimozione, anche se talvolta parziale, della capsula articolare.
Appare quindi evidente la necessita di rieducare il paziente al controllo multisegmentario dall’arto operato, attraverso la proposta di esercitazioni finalizzate ad un rieducazione sensomotoria attentamente programmata, che deve tenere in considerazione anche la presenza di attitudini e compensi acquisti del tempo, che sono l’argomento della sezione che segue.

Modificazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale ad opera di condizioni patologiche che interessano la periferia
Abbiamo già fatto cenno al rapporto esistente tra Sistema Nervoso Centrale “periferia” e al superamento della concezione tradizionale di un cervello inteso come una “centralina” che attraverso il midollo ed i nervi invia i “comandi” verso gli organi di moto effettori come gli arti, i muscoli, ecc. Al contrario, sia gli elementi “centrali” che quelli “periferici”, nel loro insieme, costituiscono un “sistema” entro il quale ogni elemento si pone in relazione con gli altri esercitando una influenza su di essi: in caso contrario, la sostituzione di una articolazione per mezzo di una artroprotesi  consisterebbe ipso facto nel ripristino della condizione precedente all’insorgenza della malattia degenerativa, in maniera in fondo non dissimile da ciò che avviene quando si sostituisce, ad esempio, la ruota usurata di un’automobile.

In effetti, numerose ricerche hanno mostrato che le alterazioni che affliggono le strutture “periferiche” possono essere causa di riorganizzazione a diversi livelli del Sistema Nervoso Centrale. Per esempio è stato da tempo dimostrato che anche “banali” interventi di trasposizione di tendini nell’arto posteriore del Gatto, influenzano il Sistema Nervoso Centrale determinando modificazioni a carico delle cellule del Nucleo Rosso (Tsukahara, 1978).

In scimmie adulte, l’unione chirurgica attraverso la cute di due dita adiacenti della mano determina in tempi relativamente brevi la scomparsa delle discontinuità tra le zone di rappresentazione delle due dita stesse che, nella corteccia somatosensoriale appaiono “fuse” insieme (Clark, Allard, Jenkins, Merzenich, 1988).
Altre ricerche ancora hanno dimostrato che l’immobilizzazione per qualche settimana della caviglia in soggetti altrimenti sani determina la diminuzione dell’ampiezza dell’area di rappresentazione del muscolo tibiale anteriore, se comparata con quella dell’arto inferiore controlaterale sano (Liepert, Tegenthoff, Malin, 1995).

In sintesi, la porzione di corteccia che il nostro cervello dedica ad una determinata parte del nostro corpo non è fissa ed immutabile, ma può variare a seconda delle esperienze motorie che facciamo. La riduzione della possibilità di movimento, intesa come un impoverimento della capacità di organizzare frazionamenti variabili tra i diversi segmenti del corpo, trova dunque un corrispettivo nella diminuzione delle aree di rappresentazione corticale interessate: nel loro insieme, queste ricerche suggeriscono al riabilitatore il superamento di una concezione meccanicistica del corpo che, opportunamente, nella Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione viene concepito come una Superficie Recettoriale Somestesica.

I dati esposti potrebbero spiegare taluni problemi incontrati dal riabilitatore quando deve affrontare il problema della riorganizzazione della funzione deambulatoria nei soggetti operati in seguito ad artropatia degenerativa. Se dal punto di vista analitico l’intervento chirurgico di artroprotesi elimina in tutto o in parte il problema relativo al dolore e alla limitazione articolare, sovente i “compensi” instauratisi nel tempo permangono ancora a lungo, e possono essere interpretati come l’espressione di una alterazione della programmazione motoria.

Occorre tuttavia rilevare che una riorganizzazione della mappe di rappresentazione corticale sensoriali e motorie è pur sempre possibile: è stato infatti dimostrato che l’addestramento ad uno specifico compito che richiede attenzione rappresenta una modalità efficace per ottenere l’espansione della porzione di corteccia dell’arto coinvolto (Garraghty, Kaas, 1992).

In conclusione, la patodinamica delle malattie articolari degenerative, che pure colpiscono l’apparato locomotore “periferico”, suggerisce  l’adozione di un approccio riabilitativo che coinvolga il sistema-Uomo a tutti i livelli, al fine di ottenere la miglior riorganizzazione possibile di funzioni complesse.

BIBLIOGRAFIA

Bernštein NA. Fisiologia del movimento. Roma, Società Stampa Sportiva Ed.; 1989

Clark SA, Allard T, Jenkins WM, Merzenich MM. Receptive Fields in the Body Surface Map in Adult Cortex Defined by Temporally Correlated Inputs. Nature. 1988 Mar 31;332(6163):444-5 (vai all’Abstract di questo articolo)

De Giovannini E, Grotto G, Filippi G, Macchi A. Pressione intrarticolare negativa: significato biologico e funzionale. Fisioterapia. 1996, 5

Garraghty PE, Kaas JH. Dynamic Features of Sensory and Motor Maps. Curr Opin Neurobiol. 1992 Aug;2(4):522-7 (vai all’Abstract di questo articolo)

Geborek P, Moritz U, Wollheim F A. Joint Capsular Stiffness in Knee Arthritis. Relationship to Intraarticular Volume, Hydrostatic Pressures, and Extensor Muscle Function. J Rheumatol. 1989 Oct;16(10):1351-8 (vai all’Abstract di questo articolo)

Hurley MV, Newham DJ. The Influence of Arthrogenous Muscle Inhibition on Quadriceps Rehabilitation of Patients with Early, Unilateral Osteoarthritic Knees. Br J Rheumatol. 1993 Feb; 32(2): 127-31 (vai all’Abstract di questo articolo)

Jensen K, Graf BK. The Effects of Knee Effusion on Quadriceps Strenght and Knee Intraarticular Pressure. Arthroscopy. 1993;9(1):52-6 (vai all’Abstract di questo articolo)

Johansson H. Role of Knee Ligaments in Proprioception and Regulation of Muscle Stiffness. J Electromyogr Kinesiol. 1991 Sep; 1(3): 158-79 ) (vai all’Abstract di questo articolo)

Liepert J, Tegenthoff M, Malin J-P. Changes of Cortical Motor Size during Immobilization. Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 1995 Dec; 97(6): 382-6 (vai all’Abstract di questo articolo)

Sharma L, Pai YC. Impaired Proprioception and Osteoarthritis. Curr Opin Rheumatol. 1997 May; 9(3):253-8 (vai all’Abstract di questo articolo)

Stokes M, Young A. The Contribution of Reflex Inhibition to Arthrogenous Muscle Weakness. Clin Sci(Lond). 1984 Jul;67(1):7-14

Tsukahara N. Synaptic Plasticity in the Red Nucleous. In “Neuronal Plasticity”. New York, 1978, Cotman CW Ed. Raven Press; 1978

Vigezzi A, Ferri A. Alcune problematiche riabilitative nella patologia articolare degenerativa primaria del ginocchio. Riabilitazione e Apprendimento. 1998, 3/4: 281-98

Young A, Stokes M, Iles JF. 1987. Effects of Joint Pathology on Muscle. Clin Orthop Relat Res. Jun;(219):21-7 (vai all’Abstract di questo articolo)

 

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One Response to L’Artrosi-processi patodinamici

  1. Letizia on 16 febbraio 2014 at 18:52

    Molto interessante e ricco di contenuti questo articolo. Ero curiosa di sapere se è stato fatto qualche studio anche sulla patodinamica dell’artrite. Sto trattando un pz con spondilite anchilopoietica che si sta modificando davvero tanto, ma volevo capire in che maniera la riorganizzazione funzionale del sistema può andare a ridurre o ritardare i processi patologici articolari (processo autoimmune infiammatorio cronico del connettivo fibroso e dell’osso nelle sedi di inserzione di tendini e legamenti).
    Letizia Flauto

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