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La Diaschisi

11 aprile 2011
By , in L'Ictus

La diaschisi e le sue conseguenze in riabilitazione

Vi sono alcuni aspetti importanti della patologia da tenere in considerazione per comprendere in che modo evolverà un ictus. Il primo fondamentale è la Diaschisi, dal greco DIA’ (a traverso) e SCHIZO (divisione), “divisione a traverso” , “divisione tra”.

È noto che in seguito ad una lesione cerebrale, alcune zone del cervello vengono danneggiate direttamente dalla lesione; queste zone rappresentano il centro (Core) della lesione formato da cellule ormai morte, la cui rigenerazione è purtroppo impossibile.

Altre zone confinanti con la sede della lesione cessano di funzionare correttamente poiché, a causa della formazione di edema, presentano un flusso sanguigno ridotto e quindi un minore apporto di ossigeno. Esse formano l’area di Penombra Ischemica le cui cellule restano recuperabili per molte ore, anche se sono particolramente vulnerabili.

Ma oltre agli eventi che riguardano la sede di lesione e le sue immediate vicinanze, già all’inizio del ‘900 alcuni ricercatori osservarono una “forma speciale di shock” (Monakow, Morgue 1928), detta appunto “diaschisi”, che origina dalla lesione locale, ma produce effetti a distanza da questa, attraverso le vie nervose di collegamento.

La diaschisi è una inibizione di queste strutture distanti dalla sede della lesione nelle quali si verifica una diminuzione del metabolismo dei neuroni e del flusso sanguigno. Si può affermare che tale inibizione sia una strategia biologica di difesa, causata dalla disfunzione/lesione di una regione neuronale anatomicamente separata ma funzionalmente connessa. Essa avviene in quanto alcune aree del cervello, ma non solo (cervelletto, talamo, midollo ecc.), non ricevono più informazioni dalle zone silenti a causa della lesione, e per difendere le stesse strutture lesionate da un sovraccarico informativo difficilmente sopportabile.

Solitamente nella fase acuta dell’ictus questo stato di “shock” o inibizione coinvolge ampie zone del cervello e dei circuiti nervosi. È per questo motivo che il malato spesso è caratterizzato da un’iniziale paralisi flaccida, ovvero si verifica una quasi totale impossibilità di poter muovere l’emilato del corpo opposta alla sede di lesione.

Si sottolinea inoltre il fatto che “…è generalmente la funzione più evoluta e più differenziata che è più colpita in primo luogo, ed è questa che in generale è restituita come ultima…” (Monakow, Morgue 1928).

Questi fenomeni sono noti come detto dall’inizio del secolo scrso, ma è solo con studi condotti nel dopoguerra che si è fatta luce sui meccanismi della diaschisi e sull’importanza della cronologia dei processi che stanno alla base del recupero di funzione (Asratyan 1963). Si osservò innanzitutto che esso è un fenomeno principalmente sinaptico, ovvero avviene laddove i neuroni comunicano tra di loro. Inoltre si appurò, come detto sopra, che in seguito ad una lesione che colpisce il sistema nervoso centrale, fa effettivamente seguito uno stato di inibizione dal significato “protettivo” che interessa aree distanti dal focolaio di lesione.

Possiamo paragonare la diaschisi all’onda dell’alta marea che copre parte della terra per un certo periodo portando inibizione. Poi, come ogni onda, anche la diaschisi refluisce lentamente e questo reflusso ideale tocca molto da vicino il lavoro del riabilitatore, poichè lo stato di inibizione viene gradatamente sostituito da una successiva fase di eccitabilità esaltata. Questo è un fenomeno chiave nei processi di compensazione del danno in quanto tale stato favorirebbe la formazione di nuove connessioni.

Conseguenze in riabilitazione

L’importanza dei concetti sopra esposti sui tempi biologici del recupero e sugli interventi terapeutici che il riabilitatore deve adottare è evidente, ma deve essere arricchita anche da altri studi più moderni e ancora più indicativi per un riabilitatore.

Nel 1996 un gruppo di scienziati scoprirono che la regione circostante la lesione (la zona di penombra ischemica), risultava vulnerabile ad esperienze comportamentali che portavano ad un sovrautilizzo di queste cellule durante il periodo immediatamente post-lesionale. (D.A. Kozlowski, D.C. James, T. Schallert 1996).

Ancora più tardi si è osservato che il recupero comportamentale è ovviamente compromesso dal completo inutilizzo, ma il grado di tale compromissione è dipendente anche dal tipo di stimoli impiegati. Se infatti nell’immediato periodo post-lesionale si sottopongono i tessuti in diaschisi ad un eccessivo sovrautilizzo ciò provocherebbe addirittura un incremento del danno.( J. L. Leasure, T. Schallert 2004)

È quindi necessario stabilire come principio base che: La diaschisi è un fenomeno protettivo che recede più facilmente utilizzando stimoli deboli; un secondo principio base a cui fare riferimento è che: essendo la diaschisi un fenomeno inibitorio che si realizza a livello sinaptico essa recede prima dai circuiti paucisinaptici (con poche sinapsi).

I circuiti neuronali che si liberano per primi sono pertanto quelle che per funzionare hanno bisogno di un minor numero di comunicazioni, che hanno quindi un più basso livello di integrazione.

Un esempio è la ricomparsa dei riflessi osteotendinei, ma anche dei cosidetti Schemi Elementari di Movimento, ovvero movimenti poveri dalle possibilità limitate e stereotipate. Inizialmente il paziente potrà ricorrere solamente a queste strutture deinibite che per loro natura non possono assicurare altro che prestazioni di qualità non elevata.

Questi due concetti che riguardano la diaschisi sono importanti in funzione della programmazione dell’esperienza post–lesionale a cui si pensa di sottoporre i pazienti attraverso esercitazioni specifiche. Occorre essere consapevoli che una riorganizzazione del sistema nervoso centrale non opportunamente guidata, può portare ad una organizzazione caotica che evolve verso una motricità di tipo grossolano difficile da modificare quando sarà terminato il periodo in cui il sistema nervoso centrale è maggiormente incline a stabilire nuove connessioni. Le strategie motorie poco evolute, se utilizzate di continuo nel tempo, conducono ad un rinforzo dei circuiti più elementari ed impediscono la riorganizzazione dei diversi sistemi funzionali lesi. In altri termini la plasticità del nostro sistema nervoso centrale non sarebbe sfruttata fino in fondo e si limiterebbe alla formazione di connessioni che consentono di svolgere compiti cruciali nel tempo presente, ma che negherebbero la possibilità di acquisire ed apprendere livelli di motilità più evoluti, che utilizzano circuiti nervosi più complessi, in un periodo posteriore.

Il tempo impiegato dalla diaschisi a recedere è difficile da stabilire. Sono state osservate regioni del cervelletto che addirittura rimangono in diaschisi per anni. In molti casi i sessanta giorni di ricovero previsti dalle strutture sanitarie rappresentano soltanto i primi passi, certo quelli più importanti, nel percorso terapeutico dei pazienti. Questo però non deve obbligatoriamente portare ad una scelta di condotte terapeutiche finalizzate al mettere in piedi il paziente il più presto possibile per farlo deambulare. Infatti è proprio attraverso questo tipo di atteggiamento che il paziente manifesterà un istaurarsi di quella motilità elementare di cui parlavamo prima per la quale molto probabilmente riuscirà a deambulare ma con una qualità del cammino assai inferiore rispetto a quella che si avrebbe se si fossero rispettati i tempi del paziente, che, ricordiamolo, non possono essere standardizzati, poiché ogni paziente ha una sua storia e una sua evoluzione.

 

BIBLIOGRAFIA:

Monakov C, Mourgue R. Întroduction biologique à l’étude de la neurologie et de la psychopathologie. Paris: Alcan; 1928

Asratyan EA. Compensatory adaptation, reflex activity and the brain”. Oxford: Pergamon Press, (Ed. Francese); 1963

Kozlowski DA, James DC, Schallert T. Use-Dependent Exaggeration of Neuronal Injury after Unilateral Sensorimotor Cortex Lesions. J Neurosci 1996: 16(15): 4776–4786 (Abstract: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8764664 )

Leasure JL, Schallert T. Consequences of forced disuse of the impaired forelimb after unilateral cortical injury.  Behav Brain Res 2004: 150(1-2):  83–91 (Abstract: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15033282 )

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One Response to La Diaschisi

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