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Il problem-solving

Il problem-solving è un insieme di processi implicati nella trasformazione di una situazione ”attuale” in una situazione “desiderata”. Utilizziamo questi processi nella vita di tutti i giorni, ad esempio, quando ci sforziamo di imparare una lingua straniera, oppure quando dobbiamo guidare l’automobile per raggiungere l’aeroporto per la prima volta. Tuttavia, se siamo già in possesso di una strategia dettagliata per raggiungere il nostro scopo non possiamo parlare di problem-solving: per un autista esperto, raggiungere l’aeroporto rappresenta infatti una attività da condurre a termine senza un particolare impegno di risorse cognitive.

Intendere l’esercizio come la “risoluzione di un problema” significa fare una distinzione con altre attività finalizzate all’incremento perlopiù quantitativo di una determinata performance. Questo concetto diviene centrale se si considera la Riabilitazione come un processo di apprendimento in condizioni patologiche volto ad ottenere un recupero migliore di quello concesso spontaneamente dalla lesione.

Da notare, anche nei soggetti sani, la formazione di una nuova abilità motoria non rappresenta l’espressione di un incremento puramente quantitativo di collegamenti neurali: infatti, il graduale passaggio dai movimenti scoordinati iniziali a quelli più armoniosi implica che ogni successiva esecuzione, migliorandosi, non rappresenta mai la ripetizione esatta di quella precedente. Questo apparente paradosso suggerisce che l’esercizio efficace “non ripete l’uso di questo o quel mezzo per risolvere il problema motorio, ma il processo con il quale esso viene risolto, modificando e perfezionando di volta in volta i mezzi di questa soluzione” (Bernštein, 1989).

In condizioni patologiche, l’esercizio comporta la risoluzione di un problema se il malato viene posto in una situazione particolare che egli può affrontare, sia pure con la guida del Fisioterapista, ma sempre attivando processi cognitivi che possano indurre opportune modificazioni entro il Sistema Nervoso Centrale tali che possano influenzare qualitativamente il recupero, agendo dunque su quei processi connessi alla progettazione dell’azione che hanno luogo prima che avvenga il movimento. È infatti attraverso l’attivazione di queste operazioni “mentali” che si ritiene possibile modificare il comportamento alterato dalla lesione.

Quali sono, allora, i problemi da sottoporre al malato? Innanzitutto è bene ricordare che per la Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione il corpo è una “superficie recettoriale somestesica” dotata della possibilità di eseguire “frazionamenti” e dunque di organizzare configurazioni spaziali continuamente differenti a seconda della necessità di acquisire, selezionare o progettare informazione attraverso l’interazione con l’ambiente. In questo senso ogni lesione dei sistemi motori a qualsiasi livello determina anche una difficoltà nella costruzione dell’informazione.

Di conseguenza gli esercizi saranno dei particolari problemi che il malato deve risolvere con il corpo attraverso una adeguata frammentazione della superficie recettoriale somestesica. I compiti proposti richiederanno l’organizzazione di adattamenti tonici o eventualmente di contrazioni muscolari che permettano la raccolta di determinate informazioni somestesiche (tattili, cinestesiche, pressorie, ponderali, ecc.) a seconda dell’obiettivo dell’esercizio, che verrà scelto dal Fisioterapista sulla base dell’analisi della patologia effettuata e della fase di recupero: centrale sarà sempre il riferimento all’Attenzione, alla Memoria e alla capacità di elaborazione del malato.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Bernštein NA. La coordinazione dei movimenti nell’ontogenesi. In: Fisiologia del movimento. Roma: S.S.S. Ed., 1989

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One Response to Il problem-solving

  1. [...] viene ad essere concepito come la risoluzione di un particolare “problema” (vedi anche questo link) che il malato deve risolvere attivando processi cognitivi quali l’Attenzione, la Percezione, [...]

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