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L’Immagine Motoria

 

L’immagine motoria (IM) indica “la capacità, per un soggetto, di rappresentarsi una azione senza produrre movimento”. Essa è stata anche definita come “uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione. Ciò implica che egli senta sé stesso che esegue una determinata azione” (Decety, 1996).

L’IM è stata studiata come fenomeno biologico in tempi relativamente recenti, e sono molti i dati che suggeriscono implicazioni molto promettenti anche per la Riabilitazione: ad esempio, colpisce il fatto che immaginare un movimento attivi all’incirca le medesime porzioni cerebrali che si attiverebbero durante l’esecuzione di un movimento reale. Naturalmente, non era possibile trasferire pedissequamente queste conoscenze sul soggetto malato: ulteriori elaborazioni ed approfondimenti hanno fatto sì che l’IM diventasse uno strumento fondamentale a disposizione del Riabilitatore Neurocognitivo.

Studi neurofisiologici di visualizzazione (o di “imaging”) cerebrale condotti con la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) e con la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) hanno permesso di appurare quali fossero le porzioni del cervello particolarmente attive durante l’esecuzione di compiti motori reali o solamente immaginati. Le numerose ricerche disponibili non si sono limitate ad indagare l’IM, ma hanno preso in considerazione anche l’immagine acustica e l’immagine visiva: partiremo da questi ultimi due tipi di immagine perché probabilmente noi tutti ne abbiamo fatto qualche esperienza, magari senza accorgercene. Introdotti alcuni concetti più generali tratteremo più approfonditamente dell’IM e di alcune sue applicazioni nell’ambito della Riabilitazione Neurocognitiva.

Noi tutti siamo in grado di rievocare “mentalmente“ un motivo musicale conosciuto: sono ormai numerose le ricerche che hanno ormai dimostrato come, durante l’esecuzione di questo banale compito, si attivano molte delle regioni cerebrali che sono coinvolte nella percezione di stimoli acustici “reali” (Hubbard, 2010).

E ancora, probabilmente, attiveremmo una immagine visiva se, proprio mentre stiamo leggendo questo articolo, ci venisse chiesto di descrivere minuziosamente cosa si vede stando affacciati alla finestra di casa nostra. Con gli occhi chiusi cominceremo a ricostruire mentalmente una immagine del tutto simile a quella che si vedrebbe realmente da quella posizione, e ciò ci metterebbe nelle condizioni di descrivere le vie, gli alberi o i palazzi che si vedono dalla finestra di casa nostra. Una modalità di evocazione dell’immagine visiva come quella appena descritta, che corrisponde ad un “vedere con l’occhio della mente”, è stata oggetto di numerose ricerche e sperimentazioni: come nel caso dell’immagine acustica, è stato dimostrato che l’evocazione dell’immagine visiva mentale attiva molte delle medesime aree cerebrali coinvolte nella percezione visiva reale (Farah, 1989).

Simili corrispondenze neurofisiologiche sono state riscontrate anche per l’IM, che può essere descritta come “uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione”, ma senza eseguirla realmente. Cosa importante, non si tratta di evocare una sorta di “vedersi allo specchio” mentre si compie un determinato movimento poiché, in questo modo costruiremmo una immagine visiva: piuttosto, l’IM implica la rievocazione delle sensazioni derivanti da un determinato movimento in modo tale da simulare di sentire sé stessi muoversi, sia pure in assenza di qualsiasi movimento reale osservabile dall’esterno. Ricerche sull’IM hanno inoltre dimostrato che per movimenti reali o  immaginati si attivano aree corticali cerebrali grossolanamente sovrapponibili (Decety, 1996a).

Molto suggestiva, anche per le possibili applicazioni della IM in Riabilitazione, è la dimostrazione della possibilità di determinare un aumento della forza muscolare impiegando movimenti non reali, ma immaginati. Allo scopo, sono stati messi a confronto gli incrementi della forza muscolare che si verificavano in due gruppi di volontari sani: il primo gruppo ha eseguito un allenamento della durata di 4 settimane che prevedeva l’esecuzione di contrazioni muscolari isometriche massimali in abduzione del quinto dito della mano sinistra, mentre il secondo ha condotto un analogo allenamento “mentale” che prevedeva di immaginare il medesimo movimento, ma senza eseguirlo effettivamente. Cosa interessante, entrambi i gruppi di volontari conseguirono significativi incrementi della forza: del 30% in media per il gruppo dell’allenamento reale e del 22% per quello dell’allenamento mentale. Occorre inoltre rilevare che anche il dito controlaterale non allenato della mano destra mostrò un incremento della forza in entrambi i gruppi: del 14% nel gruppo dell’allenamento reale e del 10% in quello dell’allenamento mentale. I risultati di questo esperimento suggeriscono l’origine neurale dei fenomeni osservati, che sono del tutto simili agli stessi aumenti di forza che si riscontrano nelle fasi iniziali di un qualsiasi allenamento, prima, cioè, che abbia luogo un effettivo incremento del trofismo muscolare. Per questo motivo, gli autori interpretano gli aumenti di forza ottenuti, sia con l’allenamento reale che con quello immaginato, come il risultato di un miglioramento delle fasi di programmazione centrale del movimento (Yue, Cole, 1992).

La possibilità di aumentare, o anche soltanto di mantenere il trofismo muscolare impiegando l’IM, ovvero senza la necessità di eseguire movimenti reali suggerisce interessanti risvolti anche per la Riabilitazione, come ad esempio nel caso in cui un malato dovesse mantenere un arto immobilizzato in un gesso o in un tutore per molto tempo. Tuttavia, occorre rilevare che molti degli esperimenti in letteratura sono stati condotti su soggetti sani, e che il trasferimento di questi concetti in patologia può non essere diretto né scontato. L’IM, infatti, e le azioni realmente eseguite condividono, sia pure approssimativamente, le medesime strutture centrali: per questo motivo, in seguito ad un ictus cerebrale che determina emiparesi è possibile che, oltre al disturbo del movimento (paresi) sia presente anche una alterazione della IM.

Per mettere alla prova questa ipotesi è stato condotto uno studio di cronometria dei movimenti di una paziente che, in seguito ad una lesione localizzata nell’area cerebrale motoria di destra soffriva di un impaccio a carico dei movimenti della mano sinistra, con difficoltà a muovere in maniera indipendente le dita che percepiva come “incollate tra di loro”. Con la mano sana, i movimenti effettivi e quelli simulati mentalmente risultavano avere la medesima durata; con la mano colpita aumentava sia il tempo di esecuzione del movimento effettivo che quello della sua simulazione mentale. La scoperta che la difficoltà ad eseguire un determinato movimento si accompagna ad una alterazione della IM suggerisce dunque che essa non è una funzione cognitiva “astratta”: piuttosto, la stretta relazione tra movimenti reali e movimenti immaginati fa ritenere che l’IM sia implicata nella pianificazione e nella programmazione del movimento (Sirigu et al. 1995).

La probabilità che ad un disordine del movimento corrisponda una anomalia dell’evocazione dell’IM è stata confermata in altre patologie dove è stato possibile mettere a confronto l’emilato sano con quello colpito, come ad esempio l’emiplegia destra, l’emiplegia sinistra ed il morbo di Parkinson che, in fasi molto iniziali della malattia, spesso esordisce interessando una sola metà del corpo (Decety, 1996b).

Dal punto di vista riabilitativo, la letteratura scientifica in definitiva suggerisce due chiari concetti. Il primo, è che l’IM favorisce attivazioni cerebrali specifiche, e dunque può diventare un prezioso strumento terapeutico anche per quei malati in cui il movimento reale è impossibile o, per un certo periodo, sconsigliabile. Il secondo, è che un disturbo del movimento reale può verosimilmente accompagnarsi ad una anomalia dell’IM del movimento stesso: di conseguenza, un esercizio che preveda l’evocazione diretta di IM con l’arto paretico potrebbe non condurre alle modificazioni auspicate.

Il Terapista può dunque fare evocare una IM corretta facendo dapprima percepire al malato un determinato movimento con il lato sano, nel nostro esempio una traiettoria circolare. Successivamente, si chiede al malato di trasferire le caratteristiche dell’IM così costruita sul lato malato, di attendersi le medesime sensazioni sul lato colpito, ed infine di operare il confronto con quanto effettivamente percepito.

 

Fig. 1 (A sinistra) Il Terapista fa percepire al malato, che tiene gli occhi chiusi, una tra diverse traiettorie circolari dal diametro differente; il malato individua la traiettoria e si costruisce una IM corretta. (A destra) Il malato trasferisce la IM così costruita sul lato colpito; il Terapista gli chiede di aspettarsi di percepire la medesima sensazione e di operare il confronto tra la sensazione attesa e quella effettivamente percepita.

 

Quella che abbiamo fornito è una descrizione sommariamente esemplificativa e le modalità di impiego dell’IM in Riabilitazione Neurocognitiva sono in realtà numerose, a dipendenza del tipo di patologia e del problema che si desidera affrontare nei singoli malati: per chi intendesse approfondire l’argomento, segnaliamo che esiste una interessante monografia che affronta in maniera esaustiva questi temi (Reggiani, 1999).

L’introduzione dell’IM in Riabilitazione ha avuto positive ripercussioni che hanno gradualmente assunto un significato anche più profondo di quello rappresentato dall’impiego di uno strumento di intervento sicuramente innovativo. Ci riferiamo al fatto che con l’impiego maggiormente strutturato dell’IM nell’esercizio e dal confronto che il malato opera tra lato sano e lato colpito, sono emersi resoconti verbali e descrizioni in prima persona che hanno ampliato le nostre conoscenze su aspetti singolari ed inesplorati riguardanti molte patologie.

 

BIBLIOGRAFIA

Decety J. (a) Do imagined and executed actions share the same neural substrate? Brain Res Cogn Brain Res 1996: 3(2): 87-93 (Abstract  http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8713549);

Decety J. (b) The neurophysiological basis of motor imagery. Behav Brain Res 1996: 77(1-2): 45-52 (Abstract  http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8762158);

Farah MJ. The neural basis of mental imagery. Trends Neurosci 1989: 12(10): 395-9 (Abstract http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2479137);

Hubbard TL. Auditory imagery: empirical findings. Psych Bull 2010: 136(2): 302-29 (Abstract http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20192565);

Reggiani P. L’immagine motoria come strumento dell’esercizio terapeutico. Forte dei Marmi (LU): Biblioteca Lurija; 1999;

Sirigu A, Cohen L, Duhamel JR, Pillon B, Dubois B, Agid Y, Pierrot-Deseilligny C. Congruent unilateral impairments for real and imagined hand movements. Neuroreport 1995 6(7): 997-1001 (Abstract http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7632907);

Yue G, Cole KJ. Strenght increases from the motor program: comparison of training with maximal voluntary and imagined muscle contractions. J Neurophysiol 1992: 67(5): 1114-23 (Abstract: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=yue%5Bau%5D%20AND%20cole%5Bau%5D)

 

 

 



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One Response to L’Immagine Motoria

  1. Carla Fiorenza on 9 luglio 2014 at 13:41

    Sono molto interessata a questo articolo sia per ragioni personali, in seguito ad isterectomia e annessectomia bilaterale ho avuto problemi nel movimento e sono bloccata dalle anche in giù. Inoltre lo trovo ricco di spunti innovativi anche ai fini di ulteriori ricerche.

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